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Da mani estranee bevo
la luce del deserto.
La bevo a cupi sorsi, luce
che divora, becchi d'avvoltoi
mi spolpano, mani come soli
la spargono. Il tempo bevo
che nella luce precipita,
nel pozzo della gola si riversa,
da vene s'avventa esplose e
acceca tutto uniformando
alla sua corsa arida e come sabbia
tùrbina, immoto movimento
dunoso e cede il tempo sgretolato
in luce e dune di tempo crollano e
voci soffocano piene di sabbia,
voci che bevo chiuse a pugno
come uccelli rapaci straziano,
mani o artigli spolpano il sole
che sparge a picco deserti di luce.